Pillole di Pubblica

Ecco un altro appuntamento con la rubrica “Pillole di Pubblica“, nella quale la nostra volontaria Rossella Betti ci racconta fatti, avvenimenti e curiosità sulla nostra associazione.

Buona lettura!

L’angolo della memoria..ovvero nessuno muore mai davvero se vive nel ricordo di chi gli ha voluto bene

Chissà se i nuovi volontari che ultimamente sono arrivati in Pubblica si sono mai chiesti il significato dei murales e delle lapidi che si vedono sul muro a destra entrando da via Nino Bixio. Per chi come me frequenta la Pubblica ormai da qualche “annetto” sono tutti bellissimi ricordi. Nel messo ai due murales, quello tutto colorato e quello con le mani, si trova la nostra “centrale operativa”, altrimenti detta Acquario perché dietro la vetrata “nuotano” i pesciolini/dipendenti e non solo, che organizzano i servizi e quello che serve alla vita dell’Associazione. Il murales colorato, un po’ in stile Botero, rappresenta mamma Siena che abbraccia i suoi figli migliori di ieri e di oggi, i volontari, con la bombetta e l’abito grigio o vestiti di rosso come le nostre divise attuali. L’altro murales è composto dalle “mani” dei volontari apposte in occasione della festa sociale del 2011, che aveva come tema “doMani ancora Pubblica Assistenza”. Che divertimento fu per tutti i partecipanti arrampicarsi sulle scale per apporre il proprio timbro sul muro dell’associazione sapendo che nonostante il passare del tempo, solo una mano di vernice potrà cancellarlo. C’è poi il busto di Ezio Felici, autore dell’Inno della Pubblica Assistenza e non solo, due lapidi commemorative e la panca di Sippe, volontario della Pubblica e soprattutto della protezione civile, costruita da lui medesimo. Sippe purtroppo ci ha lasciato già da diversi anni ma la sua panca è ancora lì e a nessuno verrà in mente di toglierla. Ecco questa è la nostra memoria che esiste perché oggi “noi siamo ciò che tutti e ciascuno ci hanno lasciato passando attraverso l’Associazione, che sia una panca, un’immagine, una parola, un servizio, una risata” (Vareno Cucini). Cerchiamo di ricordarcelo più spesso.

Rossella Betti